Papa Francesco all’Università Roma Tre risponde alle domande degli studenti – L’importanza del dialogo e la ricerca dell’unità
Papa Francesco ha visitato oggi, 17 febbraio 2017, per la prima volta un ateneo pubblico romano: l’Università degli studi Roma Tre, l’università più giovane di Roma situata a due passi dalla Basilica di San Paolo fuori le Mura.
Dopo aver ascoltato le domande rivoltegli da quattro studenti, il Santo Padre ha consegnato il discorso ufficiale al rettore Mario Panizza preferendo rispondere a braccio, come spesso fa in questi casi (ampia sintesi sul sito di Radio Vaticana).
Da dove nasce la violenza? E poi: l’importanza del dialogo, soprattutto in un luogo come l’Università; la ricerca dell’unità e non dell’uniformità; il rendere questa società e questa economia liquida qualcosa di più concreto. Infine la paura dei migranti.
Molti i temi, insomma, toccati dal Santo Padre, ecco di seguito alcuni approfondimenti:
DIALOGO
Si respira un’aria di violenza nelle nostre città – ha detto il Papa – alimentata dalla fretta che ci fa perdere di vista le buone maniere a cominciare dalle nostre famiglie. La violenza è un processo che ci fa ogni giorno più anonimi, gli uni verso gli altri. E questo aspetto si ingigantisce crescendo a livello mondiale portando violenza e guerra, a quella che il Papa per primo ha definito terza guerra mondiale a pezzi.
Cosa fare? Innanzitutto parlare meno ed ascoltare di più, abbassare i toni, e poi dialogare. Con il dialogo – ha aggiunto il Santo Padre – si fa amicizia, amicizia sociale perché si avvicina il cuore.
L’Università, poi, rappresenta la sede ideale di questa pratica artigianale del dialogo, della discussione. Dove non c’è dialogo, ascolto, confronto, amicizia, gioia del gioco e dello sport – ha detto il Papa – quella non è un’Università. L’Università deve essere un luogo dove imparare la vita, cercare la verità, la bontà e la bellezza.
UNITA’ E NON UNIFORMITA’
Stiamo vivendo, più che nel passato, un’epoca di cambiamenti continui e dobbiamo innanzitutto imparare a prendere la vita come viene – ha sottolineato il Papa – perché se non lo faremo, non impareremo mai a vivere. In questo modo il cambio di epoca non ci spaventerà.
E dobbiamo cercare sempre l’unità, ma non l’uniformità. L’unità, infatti, come ha spiegato il Santo Padre, ha bisogno delle differenze: dunque unità nelle diversità. E qui ha proposto un modello di globalizzazione a lui molto caro, riconducibile alla figura geometrica del poliedro: un solido unito verso un centro ma con i punti della sua superficie a distanze variabili. Altro modello rispetto a quello della sfera, che presenta una superficie uniforme. Ogni cultura, insomma, deve mantenere la sua peculiarità e il suo patrimonio e l’unità deve andare avanti su differenze che coesistono pacificamente e che reciprocamente si arricchiscono.
CONCRETEZZA
Francesco ha parlato anche della società liquida (termine introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman 1925 – 2017) e dalle deformazioni introdotte dall’economia liquida, alimentata da una finanza che non ha confini territoriali e temporali, che permette di scambiare (virtualmente) denaro da una parte all’altra del mondo in pochi secondi. Questo tipo di economia non produce posti di lavoro e la sfida dell’uomo deve essere quella di riportare concretezza e lavoro, specialmente per i giovani che rischiano di rimanere invischiati in dipendenze o spinti addirittura al suicidio.
MIGRANTI
Una delle domande rivolte al Papa è stata fatta da una ragazza che lo stesso Francesco ha portato in Italia, insieme ad altri undici rifugiati, al ritorno dal suo viaggio sull’isola di Lesbo nell’aprile 2016: Nour Essa, originaria di Damasco che ora sta terminando i suoi studi proprio all’Università Roma Tre. Il tema è quello della cultura cristiana minacciata, secondo alcuni, dall’arrivo dei migranti.
Come fare per non far fuggire milioni di persone dalla guerra o dalla fame? Portando pace e investimenti, ha detto il Papa. Sono popolazioni per lo più sfruttate dall’Occidente e sfruttate, nel loro viaggio della disperazione e della speranza, dai trafficanti di uomini e molti di loro finiscono per morire nel grande cimitero del Mediterraneo. Il nostro impegno deve essere quello dell’accoglienza, secondo le possibilità di ognuno, e dell’integrazione. Loro portano una cultura che è preziosa per noi così come è preziosa per loro la nostra.
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